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Coordinamento Provinciale Centri Sociali Anziani ed orti
“S. Ruscelli” di Reggio Emilia

Centri Sociali di Reggio Emilia

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Il 12 Marzo ultimo scorso si è tenuto a Reggio Emilia, organizzato dall’ANCESCAO provinciale, un incontro-convegno sull’esperienza reggiana di orti sociali. Un’esperienza che viene da lontano ma che ha avuto di recente una ulteriore fase propulsiva e di sviluppo sia quantitativa che di qualità delle soluzioni messe in campo.
Da questo momento di riflessione sono emersi alcuni snodi di ragionamento che connotano l’intero tema orti sociali.

Ragionamenti che in grande sintesi intendiamo offrire come contributo, nell’ambito dell’odierno convegno, proprio a partire dall’esperienza di Reggio Emilia e dai problemi che oggi ci troviamo di fronte.
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Un piccolo compendio delle riflessioni compiute che presentiamo e che intendiamo lasciare come documentazione di un impegno che deve restare nel DNA della nostra Associazione che non a caso ha la questione orti nella sua stessa ragione sociale.

Per chiarezza espositiva i punti nodali del discorso li raggruppiamo nel modo seguente:

1) Coltivare orti oggi. Può sembrare un paradosso ma le trasformazioni sociali in atto e la stessa infinita crisi economica che viviamo possono aver creato una sorta di nuovo propellente per quest’esperienza.

In un monIMG_5715do in cui certezza dei diritti che parevano consolidati ed inattaccabili e che sempre più vengono meno ed in cui  precarietà economica e sociale fanno sentire i loro effetti di insicurezza e timore per un futuro più incerto e indefinito, coltivare un orto, godere dei frutti della terra e del proprio lavoro portandoli sulla mensa quotidiana non è cosa di poco conto. Frutta e soprattutto verdure prodotte sul proprio lotto di terra non risolvono quadri finanziari complessi ma possono offrire opportunità di sostegno nel trovare equilibri anche economici che la crisi ha da tempo messo in discussione.

2) Coltivare un orto sociale, anche alla luce del positivo interscambio di esperienze e conoscenze con altri ortolani o “ortisti”, costituisce elemento di crescita culturale nei confronti di temi generali di rispetto e tutela dell’ambiente e di forme di ecologia dell’alimentazione quanto mai utili a giovani ed anziani spesso in preda ad abitudini alimentari non proprio corrette. Può esserci persino un dato “modaiolo” che porta di continuo sui grandi mezzi di informazione di massa il rapporto cibo-salute-ambiente ma resta il fatto che la naturalità dell’alimentarsi e del vivere era e resta una questione centrale nella vita di tutti.

3) Coltivare orti può significare, anzi deve significare, creare le condizioni per condividere momenti di incontro fortemente caratterizzati da un intento educativo e di valorizzazione del sapere di tanti anziani in modi diversi tutti legati alla terra e dalla sua coltivazione nei riguardi del contesto sociale e territoriale in cui si trovano e soprattutto riguardo alle giovani generazioni. Orti, dunque, come esperienza che si lega e ricerca relazioni con le scuole proprio perché i giovani abbiano l’opportunità di certo non scontata in contesti urbani di capire, facendo, cosa significa coltivare, curare la terra, veder crescere ciò che si è seminato, aver rispetto dei tempi e dei modi della natura.

L’esperienza reggiana da questo punto di vista e assai ricca di rapporti e relazioni positive con i giovani, scuole, insegnanti.

Assecondare la natura, coltivare, stimolare apprendimenti implica in sé per sé il concetto di rispetto, di conoscenza, di educazione, in una parola di crescita civile.IMG_5729

4) Coltivare, infine, per noi significa soprattutto andare nel modo più vero alle radici dell’essere centro sociale. Dell’essere luogo per eccellenza di socialità, dove la fatica si stempera nel piacere di intessere rapporti di amicizia, di collaborazione, di conoscenza di tante altre persone unite dalla medesima passione.

Non è certo un caso che abbiamo intitolato il nostro incontro provinciale “Coltivare orti, raccogliere socialità”. Questo è l’obiettivo primo, nessun altro. Cultura della socialità e non coltura del pomodoro più grosso.

E da questo punto di vista proprio le esperienze più recenti ci forniscono una gamma ampia di modi dello stare insieme. Più ancora forse che non i bar dei centri sociali gli orti favoriscono relazioni molto positive con fasce di popolazione altrimenti di non semplice ingaggio e relazione. Pensiamo a cittadini migranti ed alle loro donne che volentieri, in questo contesto, si dedicano alla cura dell’orto ed iniziano a relazionare con gli altri ” ortisti”. Pensiamo a giovani disabili che aiutati in alcune lavorazioni riescono ad intessere relazioni significative in un ambiente stimolante e libero da molte sovrastrutture culturali. Pensiamo all’idea che andrà a realizzarsi tra breve nela nostra città di inserire negli orti non solo anziani ma giovani coppie e, sulla scorta di un protocollo specifico con i Servizi, giovani in uscita dal tunnel della tossicodipendenza. Giovani, dunque, che rientrano nell’ambito di attività dei centri sociali e soprattutto persone che si incontrano, parlano, lavorano in un contesto di socialità e di benessere. Qui viene naturale ricordare la parola d’ordine dell’Expo di Milano “Pace e cibo per tutti” nel cui senso e nei cui valori ci riconoscimo totalmente.

All’interno di questi ragionamenti ci sta, non a caso, un’aspetto di sicuro non secondario che fa riferimento alla solidarietà. La nostra idea, ad esempio, è che la produzione non direttamente consumata dagli “ortisti” possa essere oggetto non tanto di operazioni mercantili che non c’appartengono, quanto, secondo la nostra tradizione più bella, di dono a comunità, soggetti del volontariato e o situazioni di disagio presenti sul territorio. Anche questo vuol dire essere centro sociale oggi.

Tutto questo per rilevare che gli orti possono costituire in questa fase un’esperienza ancora propulsiva e di possibile ulteriore sviluppo.

A monte, però, vi è una condizione che va esplorata e portata piena consapevolezza da parte di tutti sul valore di questa vicenda che è il rapporto che necessariamente deve intercorrere fra centro sociale e Comune di riferimento.

Sempre le Istituzioni locali ed i Comuni in primo luogo sono il riferimento primario per i centri sociali. Nel caso delle aree ortive massimamente nel senso che tali esperienze non potrebbero quasi nemmeno esistere senza un impegno dell’Ente locale nel programmare e realizzare, nell’ambito delle proprie politiche urbanistiche, patrimoniali e sociali, l’infrastruttura di base per poter procedere su questa strada.

L’area ortiva è un’esperienza che richiede coprogettazione, scambio continuo di idee, volontà di collaborazione a tutto campo a partire dalle specificità delle situazioni, pari dignità nel discutere assieme i criteri che poi troveranno formale ratifica nei regolamenti di assegnazione dei vari lotti, cooperazione nella conduzione delle questioni che inevitabilmente emergeranno nella gestione.

Di esempi concreti se ne potrebbero fare molti. Il dato però che ci preme mettere a fuoco è che il rapporto con l’Ente locale e le sue forme di rappresentanza, quali l’ANCI, costituisce il fattore primario cui rivolgiamo la nostra volontà di collaborazione convinti come siamo che con uno sforzo sinergico si possono dare risposte al bisogno sociale in senso lato ancor più avanzate di quelle finora messe in campo proprio a partire dall’esperienza degli orti sociali e dalla valorizzazione convinta dei centri sociali come luoghi di produzione di benessere civico.

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Questo è il senso dell’esperienza che si sta conducendo a Reggio Emilia.

Coordinamento provinciale ANCESCAO

Il presidente
Carlo Vestrali